DAUNIA DUE SICILIE
  Le Antiche Cartiere
 

LE ANTICHE CARTIERE


Tratto da "Le industrie nel Regno di Napoli" di Gennaro De Crescenzo

 

Continuando una tradizione antica di quasi sette secoli, delle duecento cartiere presenti nel Regno nel 1848 sessanta si potevano contare nei comuni della costiera amalfitana.

Amalfi poteva considerarsi il centro dell'attività delle cartiere meridionali: ancora nel 1815, in occasione dell' Esposizione Nazionale dell'Industria Manifatturiera, la migliore carta "si era avuta d'Amatruda d'Amalfi e da Forte di Vietri".

La carta in questione, filigranata e morbida, era utilizzata per gli atti giudiziari e pubblici al posto delle pergamene; nel 1858 fu concessa ai suoi produttori anche una privativa per la sua proprietà di non lasciare scolorire l'inchiostro48.

La produzione variava da queste carta pregiata detta "di bambace" contenente un terzo di cotone nelle fibre a quella "di strazzo" o "straccia" o "emporica" di cui si faceva largo consumo tra i commercianti (pescivendoli, fruttivendoli o salumieri) per avvolgere i loro prodotti negli antichi "cuoppi" (contenitori di forma conica ottenuti avvolgendo la carta su se stessa). Oltre alla cartiera del Lucibello sulla costiera amalfitana si contavano comunque più di 30 cartiere per circa 650 operai49. Bassa produttività e costi alti misero in crisi queste cartiere fino a farle scomparire quasi del tutto con la riduzione post-unitaria delle tariffe doganali. Ne restano spesso solo gli edifici o i ruderi tra la Valle dei Mulini, alle spalle di Amalfi, nella Valle del Dragone, sotto Ravello e presso Tramonti50.

Esse furono praticamente sostituite dalle cartiere del Fibreno in Terra di Lavoro, di proprietà del conte Lefebvre, "le prime di queste province meridionali e forse d'Italia per qualità e quantità di prodotti che offrono al commercio interno ed esterno, per la vastità dell'intrapresa, per le grandi macchine che danno carte senza fine, bianche, nonché di colori, cartoni, carte di parati per ornamento sul gusto di Francia, che danno ogni anno 1.130.000 metri di carte differenti [...] e che alimentano circa 500 individui di diversa età e sesso"51.

Quella del Fibreno era l’unica cartiera in Italia ad usare una nuova macchina detta “senza fine”. Situata tra due fiumi, il Liri e il Fibreno, essa utilizzava le acque e i boschi vicini costituendo un vero e proprio complesso industriale che si inseriva in maniera armoniosa nel contesto paesaggistico. “In tutta quella beata regione, le copiose opere di manifatture assicuravano un agiato vivere ad ogni persona che aveva braccia e voglia di lavorare: sulla pubblica via di continuo si osservavano operai di ogni specie, di ogni sesso ed età che si recano ove sono richiesti. La vita attiva ed industriosa lì era abituale in tutte le classi”.

Lefebvre si era attrezzato per produrre da solo finanche il cloruro necessario alle sue produzioni e che fino ad allora veniva importato dall’estero52.

Ad Atina la cartiera Visocchi occupava 110 operai; altre cartiere si trovavano presso il Liri e Isola di Sora (1326 operai complessivi nella Valle del Liri) e presso L'Aquila, Torre Annunziata, Sarno, Scafati, Vietri, Nusco, Atripalda e in Calabria.

Numerose anche le "cartiere a mano", che lavoravano a livello artigianale stracci di cotone neri o colorati per produrre carte da imballaggio e cartoni53.

Le cartiere del Fibreno dovettero comunque causare non pochi problemi a tutte le altre cartiere del Regno per la loro capacità produttiva anche se non mancavano i problemi soprattutto per il mercato degli stracci.

Nel 1858, ad esempio, il proprietario si lamentava per il fatto che i raccoglitori di stracci esportavano senza dazio gli stracci a Genova, dove le "fabbriche straniere" producevano le carte per le arance siciliane creando danni notevoli alle "industrie napoletane" (affermazione in cui è interessante anche notare la relatività del concetto di "straniero" e di "napoletano")54.

Le esportazioni arrivavano fino alla Grecia, alle isole Jonie e all'Inghilterra (soprattutto carta a grandi dimensioni per disegno)55.

Strettamente collegate a quelle della carta erano le "industrie" dei libri, le tipografie: oltre 400 i titoli pubblicati annualmente (un vero primato nell’Italia del tempo), 2500 circa gli addetti (120 le stamperie attive solo a Napoli nel 1833); la qualità dei prodotti era buona per l'impaginazione, per le incisioni, la legatura e la carta utilizzata56.

Famose la "Stamperia Reale", la "Reale Tipografia Militare", la tipografia del Tramater; il "Reale Officio Tipografico" produceva eccellenti carte geografiche e topografiche. Le litografie, soprattutto quelle del Cuccinelli e del Bianchi, erano all’avanguardia e i disegni del Viaggio pittorico delle Due Sicilie ne erano un’efficace dimostrazione.

La diffusione delle gouaches che riproducevano i paesaggi del Regno o usi e costumi popolari indusse Ferdinando IV a creare una sorta di brevetto per la vendita diretta soprattutto agli stranieri.

Nel 1848 si registrarono degli scioperi a Napoli proprio tra i numerosi addetti alle tipografie57.

E' più che nota l'attuale crisi dell'editoria meridionale nonostante, evidentemente, le antiche tradizioni.

 

 
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