LE CARCERI INGLESI
Fortunosamente mi è capitato tra le mani il mensile d’informazione del sindacato di polizia -SO.diPO.- (Solidarietà di POLIZIA) e sfogliandolo curiosamente sono arrivato alla pagina 56 dove un articolo storico di Giuseppe Quilichini - pubblicista e storico - era intitolato: “Politici e ….bugie”, ed iniziava con: “Sig. Gladstone, oltre alle carceri napoletane, ci parli anche di quelle inglesi”. Appena letto questo mi sono chiesto: “Ma allora qualcun altro conosce la vera storia”, ed, infatti, l’articolo prosegue così: Questo Gladstone, politico per sessant’anni, oltre ad amare la libertà ed avere una grande conoscenza politica, fece anche tanti viaggi in Italia, ma non è molto ben visto dai napoletani e “meridionali” in genere, specie se questi hanno dimestichezza con la storia risorgimentale, infatti, il disinvolto suddito britannico, nel luglio del 1851, scrivendo al suo collega Lord Aberdeen a Londra, esternava osservazioni e commenti sulle carceri di Napoli da lui stesso “visitate”.
Ebbene questi commenti non richiesti, disegnavano le carceri napoletane e borboniche come un sistema obbrobrioso, medioevale, scandaloso e immorale, insomma per lui, il Regno delle Due Sicilie era da considerarsi “la negazione di Dio”.
La cosa fu reso di dominio pubblico, come la politica più spregiudicata vuole, ma c’era un particolare tralasciato di proposito e cioè che il sig. (e l’aggio fatto ‘nu rïalo) Gladstone, era sì stato a Napoli come turista, ma non aveva mai visitato nessun carcere di Napoli né di altre province; infatti, più tardi lui stesso ammise che aveva riferito solo per sentito dire e da una definita cerchia di persone che altri non erano che quei cospiratori poi diventati patrioti, martiri, santi, onorevoli, generali, ecc. tutti facenti parte di quella congiura europea atta ad unire l’Italia sotto un unico regno - ovviamente sabaudo - scongiurando un intervento militare diretto tra Napoli e il Piemonte. Non importa se modalità e mezzi fossero un po’ discutibili, con qualche bugia inglese, con menzogne a tutti i livelli, con tradimenti vari, calpestando sfacciatamente qualsiasi diritto giuridico internazionale, rinnegando giuramenti militari e civili dimenticando persino le parentele tra Case Reali, intascando quattrini dal nemico-amico, cambiando casacca meglio di un attore teatrale, scatenando al SUD una guerra civile chiamandola brigantaggio.
I luoghi comuni
È grazie anche alla bugia del Gladstone, alla demonizzazione del reame e dinastia dei Borbone se oggi possiamo ancora ironizzare sul “meridione” e sul “borbonismo” con l’amministrazione borbonica, sistema borbonico, metodi borbonici, polizia borbonica, esercito di Franceschiello ed altri luoghi comuni ben radicati sia all’estero che in Italia. Per forza! Dopo 140 anni di storia sempre scritta dai “vincitori”, solo di recente sono stati pubblicati molti libri e documenti che mettono molti puntini sulle “i”, altro che conquista militare del SUD, altro che eroi su cavalli bianchi con sciabole sguainate o plebisciti dall’unanime consenso di cui sono zeppi i libri scolastici e non solo quelli.
A titolo di provocazione potremmo consultare qualche ottimo avvocato per vedere se si possono chiedere i danni morali allo stato italiano per avere, per un secolo e mezzo, ingannato i cittadini napoletani. Comunque, ritornando a noi, le carceri borboniche non erano né più né meno come tutte le altre carceri europee di quel periodo, con pene ordinarie e straordinarie… con frustate e legnate. Dal Codice Penale delle Due Sicilie datato 1819, succeduto ad un decreto del 1817, possiamo trarre qualche notizia sulle principali pene vigenti nel Reame di Napoli: morte, ergastolo, ferri (con catena singola o doppia), reclusione, relegazione, esilio, interdizione. Un’altra pena istituita nel 1826 era quella delle legnate riservate ai condannati ai lavori forzati per indisciplina, e somministrate nell’atrio del carcere davanti ad una Commissione che doveva ascoltare le dichiarazioni degli imputati. Questo castigo era in uso anche negli altri stati della penisola come il Lombardo-Veneto, mentre a Modena e a Reggio si usava la verga per le donne e i minori di 18 anni e i colpi dovevano essere superiori a 5 ed inferiori a 20. Nei vari stati le pene di morte variavano, c’era il taglio della testa, l’impiccagione o la fucilazione. Legnate, anzi frustate a iosa erano invece previste nelle pene dei codici inglesi della stessa epoca, già, proprio nella patria di Gladstone (lui però visitava solo quelle borboniche). Nelle carceri delle Due Sicilie, anche i carcerieri erano soggetti a disciplina e punizioni in caso di abusi. Un’altra curiosità delle carceri “borboniche” era il servizio religioso molto curato in cui i sacerdoti si impiegavano nelle messe e altri compiti assistenziali per i carcerati. Dal Codice del 1819 si legge anche: “…Il pavimento del carcere si laverà ogni 15 giorni… il carcere si imbiancherà ogni sei mesi, sarà mantenuto anche il barbiere dei poveri… e non potrà pretendere compenso alcuno dai detenuti… il barbiere raderà i capelli a tutti coloro che giungeranno al carcere e si dichiareranno poveri. Raderà a costoro la barba una volta a settimana. Il fornitore stipendierà anche il lavandaio dei poveri, le biancherie dei letti e le camicie saranno cambiate ogni 8 giorni, se pure non occorresse farlo più sovente.”
Detenuti inglesi lavati con l’aceto
Adesso andiamo a curiosare presso le carceri inglesi e non avendo a disposizione i Codici Penali di Sua Maestà Britannica, abbiamo reperito qua e là qualche notizia sui “civilissimi sistemi inglesi”. Potremmo iniziare accennando alle migliaia di detenuti irlandesi poi trasferiti nelle galere della nuova Australia, oppure alla rivolta dei Sepoy in India, quando nel 1857 a Canawpore la repressione inglese fece salire il sangue fino alle ginocchia, ma rischieremmo di diventare noiosi.
Citiamo così la prigione di Negate (Londra) nel 1701, dove fu rinchiuso per un anno il famoso pirata William Kidd, prima di essere giustiziato e appeso in una gabbia metallica sul Tamigi fino alla totale decomposizione del corpo. Newgate fu costruita nel 1200 ed era la prigione più importante di Londra. Persino per i criteri dell’epoca era un luogo disgustoso, talmente sovrappopolato che i detenuti dormivano in due o tre su ogni pagliericcio, e tanto infestato da parassiti che le pulci venivano schiacciate sotto i piedi “come ghiaia sul viale di un giardino”. Il fetore e l’umidità erano tali che i prigionieri venivano lavati con l’aceto, prima di comparire davanti alla Corte e i visitatori avevano l’abitudine di portare con sé mazzi di fiori in cui affondare il proprio naso.
I prigionieri dovevano pagare l’affitto per le loro celle e i carcerieri pretendevano somme esorbitanti per qualsiasi cosa…, fogne aperte attraversavano le celle… Un prigioniero la definì IL SIMBOLO DELL’INFERNO…
Nel “Bullettino Carcerario”, rivista italiana, annata 1872, viene riportata la seguente notizia: “VISITA ALLE CARCERI D’ITALIA… Pochi giorni or sono è venuto in Italia il sig. Angus Croll, sceriffo di Londra e membro del Comitato Centrale Inglese, ha visitato molte delle nostre carceri, e sappiamo che ha trovato far lodi speciali per quelle di Palermo…” Però, come cambiano di parere queste visite inglesi! Apprendiamo così che nel giro di dieci anni, le carceri (già borboniche) di Palermo suscitavano le lodi speciali di un capo della Polizia inglese. Che rapidità di cambiamento rispetto a quelle descritte dieci anni prima da lord Gladstone! Già ma lui è un politico, può raccontare tutto quello che gli pare. E poi adesso non c’è più “l’odiato e medioevale tiranno borbonico”, lo scandaloso Reame di Napoli, la NEGAZIONE DI DIO, ecc. Adesso nel “paradiso terrestre” del SUD Italia, dove le prigioni sono diventate di colpo Hotel a 4 stelle, governano gli ottimi Savoia, i bravi re sabaudi, quelli che non dicono mai bugie, che non tradiscono mai alleanze, parola data, diritti internazionali, a meno che non sia conveniente per qualcosa o per qualcuno.