QUANDO DAL SUD NON EMIGRAVA NESSUNO…
Pino Marino
Nel 1861 all’alba dell’unità d’Italia si comincia a parlare di “Questione Meridionale” e la si tramanda alle generazioni postume come retaggio secolare di un sud povero e depresso.
Niente di più falso. Se ne inizia a parlare solo allora, perché prima non ve n’era traccia alcuna.
Le critiche sull’arretratezza del Sud in epoca Borbonica non considerano le condizioni di vita, nelle civiltà contadine dell’ottocento, simili in tutta Europa.
E nelle città? Fare una passeggiata in certi quartieri di Parigi o Londra (presente Oliver Twist?) equivaleva andare incontro alla certezza di essere rapinati (se non sgozzati) ed in questo, per qualità della vita voglio dire, la capitale del sud: Napoli, era certamente di gran lunga migliore. Certo vedendola oggi è difficile a dirsi, ma quelle che ci scorrono davanti agli occhi sono le immagini di una città agli antipodi di quella di 150 anni fa, abbruttita, violentata e per sempre rovinata da quel che ha subito a causa dell’annessione. A testimonianza di questo vediamo la tabella che segue: è relativa al PRIMO CENSIMENTO GENERALE del neonato Regno d’Italia nel 1861, dal testo: “Scienza delle Finanze” di Francesco Saverio Nitti, grande economista e statista, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia dal 23 giugno 1919 al 15 giugno 1920. edito da PIERRO nel 1903, pag. 292.
MONETE DEGLI ANTICHI STATI ITALIANI AL MOMENTO DELL’ANNESSIONE al (1861)
(in Lire Italiane del 1861)
Lombardia
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milioni
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8,1
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Ducato di Modena
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milioni
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0,4
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Parma e Piacenza
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milioni
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1,2
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Roma
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milioni
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35,3
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Romagna,Marche, Umbria
|
milioni
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55,3
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Piemonte e Sardegna
|
milioni
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27,0
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Toscana
|
milioni
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85,2
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Venezia
|
milioni
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12,7
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Regno delle Due Sicilie
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milioni
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443,2
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________________
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Totale
|
milioni
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668,4
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Da questa tabella si può facilmente evincere come Il Regno Delle Due Sicilie avesse nel 1861, momento dell’annessione, due volte più monete di tutti gli altri stati della penisola messi insieme.
L’economia nel Regno delle Due Sicilie si reggeva su robuste tariffe doganali che, favorendo la circolazione dei beni di propria produzione sul mercato interno, tenevano su buoni livelli il commercio e l’artigianato. La maggior parte della popolazione godeva di fondi presi in affitto dalla Chiesa (primo proprietario terriero del paese) per i quali versava canoni irrisori. La fine del protezionismo doganale, promesso dal Piemonte (che non aveva grandi produzioni) a Francia ed Inghilterra, in cambio del decisivo aiuto fornito nella conquista del sud, portò a quella forte concorrenza che si rivelò distruttiva per le produzioni meridionali.
Ancor peggio fecero le leggi sulla requisizione, da parte dello stato, dei beni ecclesiastici con successiva vendita degli stessi al miglior offerente (legge 7 luglio 1866 di soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose e legge 15 agosto 1867 per la liquidazione dell’Asse ecclesiastico) passate alla storia non a caso come “Leggi truffa”.
Il Piemonte, fortemente indebitato, aveva urgente bisogno di quattrini e con questi provvedimenti certamente ne incassò molti. Togliendo le terre alla chiesa, di fatto, però, le tolse ai piccoli contadini affittuari consegnandole, su un piatto d’argento, ai grandi proprietari che, molto danarosi, ne fecero incetta. Vigendo inoltre nel Regno la libertà di pascolo, di raccolta della legna e delle verdure, tolsero la terra a quanti (molti) da queste attività traevano sostentamento.
Nasce così e solo allora il grande latifondo ed ai piccoli agricoltori o artigiani rimasti senza sostentamento, né arte, né parte, non restò che un unica strada: la via dell’emigrazione verso le Americhe, la drammatica via crucis verso una nuova esistenza che però, dal regno delle Due Sicilie, mai nessuno, ancora, aveva percorso.