Invece della storia nelle nostre scuole si insegna il pregiudizio verso il sud di Marisa Ingrosso - Gazzetta del Mezzogiorno del 19-10-2009 Non sorprende che il pregiudizio anti-meridionale sia ancora vivo nel nostro paese, i testi scolastici utilizzano, come ben dimostra Marisa Ingrosso, un linguaggio di stampo ottocentesco nel quale i popoli vengono giudicati per la loro "indole" o in base a citazioni di tenore non differente. Sembra che per gli autori di questi testi, e per la scuola italiana, decenni di progresso delle scienze storiche e antropologiche siano passati invano. Ai nostri ragazzi a scuola invece della storia vengono insegnati i pregiudizi degli invasori di centocinquanta anni fa, è uno scandalo e dimostra ancora volta come l’Italia unita sia definita in base all’alterità del Sud Italia, e quindi in negativo, è evidente che ancora oggi si ha paura a presentare ai nostri ragazzi un’analisi storiografica degna dei tempi. Il Napoletano è come «un vaioloso nel letto», una «cancrena». Il Mezzogiorno è «affamato», «arretrato», «è Africa!». Il Nord è «sviluppato», «industrializzato» e «liberale ». Nord e Sud «due civiltà differenti». Infine, il brigantaggio: «bande composte da contadini insorti e autentici briganti» che «colpivano con incendi, furti e omicidi tutto ciò che rappresentava lo Stato italiano». Praticamente, terrorismo eversivo. Eccoli, in breve i concetti che i giovani italiani imparano a scuola (la scuola pubblica!). Le frasi si trovano sui libri di testo di Storia usati, negli ultimi anni, in 3ª media e al 4° anno delle medie superiori. Senza alcuna pretesa di esaustività, la «Gazzetta», si è messa ad esamine questi testi, a campione. L’esito è preoccupante. ALLE MEDIE - Prendiamo l’edizione 2004 del testo numero 3, edito da Atlas, e intitolato «Storia ed educazione alla cittadinanza - Da Napoleone ai nostri giorni». È un testo adottato alle scuole medie. A pagina 97 c’è il paragrafo «La questione meridionale e il problema del brigantaggio». Gli autori (Zaninelli, Bonelli e Riccabone) affermano subito che «il Mezzogiorno era entrato a far parte del nuovo Stato unitario in condizioni di svantaggio». Non spiegano di che «svantaggio» trattasi però lo lasciano capire: i braccianti non possedevano terre mentre «vasti possedimenti restavano incolti per il disinteresse del proprietario » (latifondisti pigri?). Correttamente enumerano i motivi di scontento delle popolazioni meridionali nei confronti dei Piemontesi: le tasse esose, il loro servizio di leva obbligatoria e le promesse mancate (la, mai attuata, riforma agraria). Questa «sfiducia nell’autorità», secondo gli autori «portò alla nascita di organizzazioni illegali e di bande di briganti». Per batterli, «lo Stato fu impegnato in una vera e propria guerra nella quale furono utilizzati oltre 160.000 soldati». In quella pagina c’è soltanto una immagine. È una stampa a colori. Una grossa didascalia che dice: «I briganti praticavano da sempre il sequestro di persone per ottenere riscatti in denaro». Il capitolo si chiude senza mai accennare al ruolo dei grandi alleati di quelle «organizzazioni illegali» e «bande di briganti», cioè i Borbone e la Chiesa. Chi ha studiato su quel libro, quindi, può ben ignorare i motivi e gli ideali, che pure mossero migliaia di uomini e donne. Per quei ragazzini (che oggi hanno tra i 17 e i 18 anni) il brigante sarà qualcosa che sta a metà tra un morto di fame e un criminale. Altri autori (Brusa, Guarracino, De Bernardi) altro libro di testo per la 3ª media («Il nuovo racconto delle grandi trasformazioni - Dall’Europa delle nazioni alla società globale»), altro editore (Edizioni scolastiche Bruno Mondadori). Questo libro veniva usato quattro anni fa. Ai briganti dedica mezzo paragrafo, che inizia cosí: «Dall’estate del 1861, e in maniera sempre piú intensa, nei due anni successivi, nelle regioni meridionali (ma non in Sicilia) comparvero bande composte da contadini insorti e autentici briganti». Il brigantaggio non c’era in Sicilia dopo il 1861? Può darsi. Ma i Carabinieri la pensano diversamente. Loro, in Sicilia, hanno arrestato briganti almeno fino al 1874. Proprio sul sito ufficiale dell’Arma (www.carabinieri.it), c’è una pagina de «L’Illustrazione Universale » datata 15 novembre 1874, in cui si riporta dell’arresto, avvenuto l’11 ottobre di quello stesso anno, di «Anzalone Cataldo e Salvo Andrea, noti capi briganti». Ma continuiamo a leggere il libro di Storia. Le «bande» di «contadini e autentici briganti» in questo caso sono state «appoggiate» da «ufficiali del vecchio esercito borbonico », ma soltanto «in principio» e, comunque, la loro attività era questa: colpire «con incendi, furti e omicidi tutto ciò che rappresentava lo Stato italiano e chiunque si schierasse dalla parte delle autorità pubbliche». In questo caso, secondo gli autori, per la repressione del brigantaggio «furono impiegati 120.000 uomini», e non 160.000. Ciò detto, bisogna segnalare una nota di merito: a corredo di questo testo di Storia c’è anche, allegato, un libro per gli esercizi (firmato da Bresil, Pedron, Pontalti, Tamburiello). Qui c’è un intero capitolo, denominato «Storie di briganti», che è ricco di informazioni, documenti e grandi e belle immagini di briganti e brigantesse. Le indicazioni su «come utilizzare l’iconografia sul brigantaggio» spiegano che ci sono un sacco di foto di quelle persone perché i briganti «si facevano fotografare o venivano fotografati loro malgrado, anche dopo la fucilazione». AL LICEO - Cinque anni fa, nei licei c’era la 2ª edizione del volume 2 de «La storia - Dalla metà del Seicento alla fine dell’Ottocento» (Zanichelli editore). Porta la firma illustre di Aurelio Lepre. Il professore (ordinario di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Napoli Federico II), ha scritto libri bellissimi sul Mezzogiorno e il suo equilibrio e la sua competenza si ritrovano in questo testo per le scuole anche quando tratta il fenomeno del brigantaggio. Ciò che lascia perplessi è il discorso Nord-Sud. Il capitolo «La costruzione dello Stato e della nazione» si apre con una sequela di insulti razzisti pronunciati da settentrionali o da meridionali che vivevano al Nord già da molto tempo. Il primo cui Lepre dà la parola è Massimo d’Azeglio. Il piemontese, che fu politico e letterato, è famoso per la sua: «Abbiamo fatto l’Italia, ora si tratta di fare gli italiani». Invece la frase che tocca in sorte ai liceali del 2005 è: «La fusione coi Napoletani mi fa paura. È come mettersi a letto con un vaiuoloso». Cui Lepre fa seguire l’esternazione del romagnolo Luigi Carlo Farini (luogotenente di Cavour nel Mezzogiorno) che dei meridionali dice: «Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Africa!». Poi Lepre raccoglie il pensiero dello scrittore Giuseppe Bandi secondo cui i siciliani erano dei «beduini» e la loro lingua era «africanissima». E, infine, l’autore lascia passare il parallelismo tra il Napoletano e una «cancrena», sotenuta sia da Farini, sia dal siciliano Giuseppe La Farina. Lepre non ha ritenuto utile mettere a «contrappeso» alcuna presa di posizione filo-meridionale. Anzi, spiega che a fondamento di giudizi cosí drastici i settentrionali avevano una «preoccupazione di carattere politico» e «c’era anche la convinzione che fino a quel momento non era esistita una sola civiltà italiana, ma due civiltà differenti per tradizioni, costumi e indole della popolazione». Sí, «indole», cosí scrive Lepre. E i meridionali «sudisti» dell’epoca cosa pensavano del Nord? E dell’«indole» dei Piemontesi? Chi ha studiato su quel testo, purtroppo, lo ignora. Quei ragazzini (e il pensiero va soprattutto ai meridionali) che hanno studiato e mandato a memoria quelle frasi oggi hanno tra i 21 e i 22 anni. I PROFESSORI - Tutti i concetti fin qui riportati, se non mediati da docenti avveduti, equilibrati e molto ben preparati, possono convincere i giovani meridionali dell’esistenza di una storica inferiorità? Viceversa, possono alimentare un senso di storica superiorità nei piccoli settentrionali? La risposta sta a ciascuno. Ma magari, quest’anno, facciamo in modo di leggerlo il libro di testo di Storia dei nostri ragazzi.